Cara Città, SVEGLIA
Un po’ di periferia, come sai fare te Ma per una volta mettiamo via i rancori.
con te seduto ai bordi dei quartieri, confesso,
ne ho viste davvero di tutti i colori.
ma tu ancora Hai addosso il coraggio del tuo grigio,
grigio del cemento e del cielo spento di novembre e noi
ancora in mezzo, come una pressa di silenzio che non se ne va
 
Cara Città, SVEGLIA
Blu come il cielo sereno a luglio, blu come gli occhi suoi,
blu come le divise, le volanti, i caschi e i lividi
blu come la linea di mercurio che segna 39 e sei, e
divide la mia pazza voglia di rivalsa da lei.
blu come la fifa blu e i brividi che mi dai
 
Cara Città, SVEGLIA
Ora devi spiegarmi come sei messa, tirata a lusso
in vestito rosso tacco e spacco, non puoi raccontarla a me
che conosco il rosso sangue nel lavandino al mattino
e nelle celle in piena notte, ti vesti bene ma sotto tieni
calze a rete rotte e un sorriso da film giallo
ma ho gli occhi rossi, e tu che dormivi meno di me,
sai bene di che ti parlo. ma ora…
 
Non c’è più tempo
Premo il retro dello bic, come a far uscire l’ossigeno dalla siringa, drogo la cellulosa, giro la clessidra, dalle periferie arrugginite fino al centro storico di ogni uomo, le mie mille miglia interrotte dalla seconda guerra mondiale d’ideali e centomila nessuni senza un duomo dentro reduci dal primo conflitto, circa quarant’anni fa. Assumi per veri i cinque sensi e ridi mano nella mano della città dove credi che la retina renda tutto contemporaneo, e quest’epoca non mostra più pupille ove riflettersi.
 
Mille miglia per far fronte alla peste del mio secolo, è tempo di capire che non c’è tempo, raddoppiare le sillabe nel verso, queste sono le mie mille miglia laddove hanno fatto deragliare il soggetto, bombardando i ponti che portavano le parole al concetto, eccetto te eccetto me, mon frère, citando baudelaire, per noi, con mostri ben più grandi: la noia della noia e il buon livello medio di sopravvivenza che c’ha accostato le palpebre e negl’occhi non ci guardiamo più, caro duemila.
 
E se muoio giovane spero sia dal ridere, ti dicevo, di quanto brucio più in fretta di voi; di quanto bruciamo meglio e di quando resto sveglio e metto la mia vita in quattro scatoloni mettendoci meno di due ore e poi, e poi, non mi vedrai più per mille miglia, fratello mio, io riparto da dove gli altri non hanno più visto la partenza e la data di scadenza, che era cinque minuti fa. Lancio bombe carta nel cestino, e contro questo posto che baratta filtri per i sogni in cambio dei sogni stessi, e finisci per vedere solo i bisogni e fumare la tua anidride carbonica spoglio di interessi.
Piovono pietre pubblica un estratto del libro Erravamo giovani stranieri (Agenzia X), raccolta postuma di scritti esplosi dalla penna di Alberto Dubito, scrittore, performer di slam poetry contest e leader della band Disturbati Dalla CUiete. I testi che seguono colpiscono enormemente per il fuoco, la responsabilità e la verità di cui sono attraversati, poiché fatti di una poesia che “è incandescente, è pericolosa, è fragile, è violenta; è come una catapulta su cui salire volontari senza sapere dove ci lancerà” (dalla postfazione di A. Scarabelli). Le parole di Alberto Dubitosono ritratte dalle illustrazioni intense di Davide Baroni, che si è prestato all’opera con particolare sensibilità. La traccia in streaming  s’intitola “Vuoti a perdere” (ft. Lello Voce) ed è tratta dal disco La Frustrazione del Lunedì (e altre storie delle Periferie Arrugginite) dei Disturbati Dalla CUiete, la voce è quella dell’autore Alberto Dubito. 
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